Tutte le cose inutili – Mi chiedevi com’era avere ventun’anni per un anno nel ventesimo secolo

 

A volte mi chiedo veramente cosa significhi “fare musica”, e se questo sia o meno un sinonimo di “fare arte”.
Ovvio che la risposta non può e non deve essere univoca: è arte quello che ci emoziona e che ci fa provare qualcosa, o almeno così dicono quelli “colti”.

Poi ti trovi di fronte a certi dischi e ti viene il dubbio: è un capolavoro di minimalismo e io non ci ho mai capito niente o è semplicemente un pot-pourri di idee messe giù a casaccio, condite con tanto entusiasmo ed una spruzzata di voglia di uscire allo scoperto?

Ci pensi e ci ripensi e alla fine la soluzione è… sticazzi, ognuno dica la sua e la finiamo qui.

“Tutte le cose inutili” è il monicker sotto cui si cela la one-man band di Leonardo Sanzò, giovane toscano di Prato alla sua opera prima.
Il disco è per sua stessa ammissione un’opera minimale, registrata in low budget e per giunta “con una chitarra senza una corda”; essendo anche la sua bio parecchio ermetica, non ho altre notizie in merito, quindi mi metto all’ascolto quasi alla cieca (cosa che odio fare ma che sempre più spesso si verifica, essendo anche le bio spesso “artistiche”, per usare un eufemismo).

Il genere proposto è una sorta di pop low-fi cantato in italiano, con voce spesso doppiata e suoni volutamente sfumati ed essenziali, soprattutto per quanto riguarda tastiera e synth, che fanno capolino qua e là.
Le canzoni, disponibili in download, sono undici: tutte scorrono molto simili, con un accompagnamento di chitarra fatto di due accordini due e la voce che a volte canticchia (malamente) più spesso declama dei testi che alla fine non sono neanche da buttare, se riuscissi a superare le parti che parlano del solito “mal d’amore” o quelle più prettamente nonsense e il fatto che non ci sia un’intonazione che si possa definire tale.

Al di là di tutto questo, il problema vero è la noia che permea tutto il lavoro, il piattume generale e quel senso di voler essere “alternativo e quindi colto” ad ogni costo, a tratti con ironia in altri frangenti con paurosa serietà quasi a voler dire all’ascoltatore, come detto in apertura, che “se non apprezzi è perché non capisci”.

Ci penso, ci ripenso e alla fine trovo la mia opinione: non ci sto.

Di dischi minimalisti se ne potrebbero citare a centinaia, e parecchi imprescindibili in una discografia che si rispetti.
Le chitarrine appena accennate o quelle loopate di “Ipsos naich” vengono da J Mascis tutta la vita, così come il modo di cantare che è spesso stonato e ricorda più un declamato: sentito e risentito in tante salse e quasi tutte migliori di questa.

Non trovo grossi spunti di interesse nell’intero lavoro se non qualche giretto di chitarra interessante e qualche traccia che si fa apprezzare, su tutte “Ballata per un amico o qualcosa del genere”, che con un cantato decente sarebbe anche stata interessante (anche se il raddoppio vocale mi ricorda – oddio! – qualcosa come gli Zero Assoluto, e la vita mi perdoni per averli nominati) e “Cos’è successo” (97 secondi di voci e chitarre cariche di delay dall’atmosfera piacevole).
Niente per cui gridare al miracolo, si intende, ma almeno un qualcosa che si eleva dalle atmosfere soporifere e mediocri di tutto il resto: si può anche resistere a una o due canzoni di questo genere, ma ascoltarne undici di fila è quasi improponibile e non appena una traccia sfora i 2 minuti, come ad esempio la lunga “Oggi non è il giorno che ti faceva paura ieri” (che credo voglia parafrasare il vecchio adagio “Today is the tomorrow you worried about yesterday, and all is well”) subentra subito la pesantezza e la difficoltà nel resistere al tasto skip, che ci guarda con bramosia neanche fosse una delle sirene dell’Odissea.

Questa, badate bene, è solo un’opinione personale (e non potrebbe essere diversamente): lavori di questo genere fanno effetti diversi su ognuno di noi; l’unico sistema è dunque quello di dargli una possibilità senza soffermarsi troppo sui singoli aspetti (tecnici e compositivi).
Resta comunque il fatto che è necessario essere parecchio open minded per riuscire ad apprezzarlo e per carpire e scindere il momento ironico da quello serioso.

Senza rimanere delusi qualora non ci si riesca: non sarà perché non ci abbiamo mai capito niente.

Claudio Scortichini

Track list

1. Bisogna suonare piano e cose dolci
2. Ballata per un amico o qualcosa del genere
3. IKB-761
4. Oggi non è il giorno che ti faceva paura ieri
5. Ipsos naich
6. Cos’è successo
7. Fantasia su Turner e Borges in aula magna
8. Idee n°3
9. La canzone della ragazza che perde le speranze
10. Nahil
11. Turisti in piazza san Lorenzo

Soundcloud
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