Simple Plan: “I’ll do it for the band, I’ll take one for the team.”

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Il 19 febbraio scorso è uscito “Taking One For The Team” e sono tornati in Italia con due incredibili sold out a Bologna e Milano. Stiamo parlando dei Simple Plan, sulla cresta dell’onda da ormai quindici anni, ma con lo stesso entusiasmo e umiltà del primo giorno!
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Jeff in occasione della loro data milanese all’Alcatraz, e ci ha raccontato un po’ di retroscena sul nuovo album, alcuni vecchi ricordi e una speranza ancora viva per i fans italiani.. che ci sia una terza data in programma a maggio? Scopritelo qui!

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Ciao ragazzi! E’ un onore intervistarvi!
Taking One for the Team è il vostro quinto album E’ stato più difficile lavorare a questo album? E’ vero che avete vissuto tutti insieme a casa di Chuck durante la realizzazione del disco?
Jeff: Sì. Quando sei in una band per tanto tempo ti rendi conto di certe decisioni che hai preso nel tempo che sono migliori di altre, e un’ottima decisione che abbiamo preso quando abbiamo registrato il nostro primo album è stata di stare insieme per tutto il processo: è questo che costruisce una band, che crea il legame. Al giorno d’oggi con internet è facile inviare file: puoi essere a Montréal o a Los Angeles, per non parlare del fatto che tutti abbiamo uno studio a casa, quindi possiamo registrare tracce e inviarcele, ma non è lo stesso di svegliarsi la mattina, iniziare a lavorare con Sebastien ai nostri pezzi, e poi andare in studio; c’è qualcosa di speciale, si crea un’atmosfera diversa, è più spontaneo, più reale. Se fossi da solo nel mio studio, finirei per ripensarci e registrare di nuovo, e magari ne verrebbe fuori qualcosa di grandioso, ma sarebbe migliore [rispetto a quello che facciamo quando lavoriamo insieme]? E’ diverso. Sentivamo che il contatto umano fosse importante.
Quindi è stato difficile registrare questo album? Sì, è stato difficile.
Non penso ci sia mai stato un album che sia stato semplice da fare tranne il secondo: con il secondo, sapevamo quello che dovevamo fare, siamo entrati in studio, e sapevamo che avevamo solo un mese e mezzo per finirlo perché saremmo andati in tour subito dopo, quindi non avevamo altra scelta se non finirlo; quindi abbiamo registrato l’album e siamo andati in tour. Il secondo è stato un album facile da fare; gli altri sono stati tutti difficili.
In questo caso, la difficoltà stava nel trovare la nostra identità come band nel 2016; molte perone hanno paura di affrontare l’argomento, ma è una cosa che devi sapere, devi sapere quello che stai facendo. Inoltre, siamo esseri umani, evolviamo, ascoltiamo nuova musica, nuove band. Al giorno d’oggi, puoi ascoltare Bieber e puoi ascoltare death metal, ed è una cosa che ci può stare. Quando abbiamo cominciato noi, se ti piaceva il pop punk ascoltavi il pop punk e nient’altro, o se lo facevi non lo dicevi. Bieber non è un buon esempio perché non so bene cosa faccia, ma ci sono tanti artisti pop che mi piacciono molto; è un equilibrio di tutto.
Quello che era difficile era trovare quell’equilibrio tra la nostalgia per i primi due album – i fan amano quei due album, il sound che hanno – e quello che i Simple Plan potevano e volevano essere nel 2016. Quindi devi prendere quella nostalgia, portarla al 2016, e provare cose nuove senza diventare troppo ‘alieno’ per i tuoi fan, ed è un equilibrio difficile da trovare.
Ci siete riusciti!
Jeff: Grazie. Prima ci sentivamo sempre dire: “Amo il vostro quarto album… ma preferisco il primo.” Ce lo sentivamo dire tutto il tempo, ma adesso la maggior parte delle persone ci dice che l’ultimo è il loro preferito. Questo è importante per me.

Qual è la vostra canzone preferita dell’album al momento?
Jeff: Cambia di continuo.
Amo Kiss Me, penso che sia un’ottima canzone: ha qualcosa di molto positivo, di leggero, ma ha anche un significato più profondo.
E amo anche Singing in the Rain. Penso che probabilmente sia la canzone con il miglior testo che abbiamo mai avuto. Mi piace il messaggio positivo che ha: qualsiasi cosa brutta possa capitarmi, sarò io a prevalere, sarò io ad essere più forte; penso che sia un bel testo.

Problem Child sembra una sorta di seconda parte di Perfect.
Jeff: Hai ragione, la vedo così anch’io.
Parlaci del testo e di come è nato il brano.
Jeff: Ti parlo dalla prospettiva di Chuck, perché non ho scritto io questa canzone.
Perfect è una canzone personale: parla di quello che stavamo tutti vivendo in quel periodo. Eravamo a scuola; io ero a scuola di musica, facevo concorsi, vincevo concorsi, e avevo una carriera come solista. Ad un certo punto, sono entrato in una band, che era il mio hobby, e questa band si chiamava Simple Plan, era la ‘band del finesettimana’; Sebastian studiava all’università per diventare ingegnere, e la sua band del finesettimana erano i Simple Plan; Chuck studiava legge, e la sua band del finesettimana erano i Simple Plan… Col tempo l’attenzione si è spostata, i Simple Plan sono diventati più importanti, e noi abbiamo dovuto dire ai nostri genitori che non saremmo più andati a scuola, che saremmo diventati musicisti, e questo li ha delusi, perché da genitore vuoi sempre il meglio per i tuoi figli e i nostri genitori pensavano che essere musicisti non fosse il meglio per noi. Quindi Perfect riguarda questo.
Problem Child invece è la storia del fratello di Chuck; da adolescente, e anche da giovane adulto, non stava bene con se stesso, era spericolato, e gli ci è voluto diverso tempo per trovare un equilibrio, una stabilità. Quando Chuck ha portato la canzone noi abbiamo tutti pensato che fosse troppo personale, che riguardasse troppo una sola persona, ma poi abbiamo realizzato che avrebbe potuto avere un significato per altre persone, non solo per Chuck.

Siete una delle poche band rimaste a non avere mai cambiato line up, anche se le vostre vite sono molto diverse. Qual è il vostro segreto?
Jeff: Onestà. Verità. Parliamo molto, comunichiamo bene. Penso che sia questo.
Diciamo sempre che è perché veniamo dallo stesso ambiente, e le nostre famiglie si conoscono, e siamo andati al liceo insieme, e siamo cresciuti nello stesso posto, ma la realtà, credo, è che abbiamo un forte desiderio di superare i nostri problemi: quando ho un problema con Chuck, o con Pierre, entro poche ore ne parlo con loro, e affrontiamo il problema, e se dobbiamo litigare litighiamo, e poi sistemiamo tutto. E’ perché ci importa dei Simple Plan più di quanto ci importi di noi stessi. E questo ci riporta a Taking One for the Team: quante volte penso: “Non voglio fare questa cosa, davvero non voglio fare questa cosa”? Ma poi penso: “Lo farò per il bene più grande, lo farò per la band, mi sacrificherò per la squadra.”

Qual è l’album che vi rappresenta di più?
Jeff: Tutti gli album sono importanti, perché rappresentano fasi importanti delle nostre vite: quando fai un album, e poi vai in tour, quello diventa una parte di tre-quattro anni della tua vita, quindi è molto importante.
Ci sono certe canzoni che suono live al momento che sono davvero potenti; quando suono Your Love is a Lie sono proprio incazzato, sono davvero arrabbiato sul palco.
C’è questo, ma ci sono anche canzoni che ti fanno stare bene. Perfect World mi fa stare bene; parla di come le cose non siano perfette, ma c’è speranza nel testo. Un’altra canzone che mi fa stare bene è Singing in the Rain: parla di quando le cose non vanno bene e nonostante tutto si trova la forza di dire: “Fanculo. Sta andando tutto male, ma ce la farò.”

Come avete scelto la scaletta?
Jeff: Non so se avete notato, ma modifichiamo sempre la scaletta, c’è una rotazione delle canzoni. E’ perché ci siamo resi conto che molti fan vengono a molti concerti; qui in Italia, ad esempio, molte persone che erano ieri a Bologna sono qui anche stasera, e non li vogliamo annoiare, li vogliamo sorprendere; non diciamo mai quali canzoni facciamo, a volte sono nuove, a volte sono meno recenti, cambiamo sempre tutto; penso che sia per mantenere l’interesse sei fan.
Litighiamo un sacco tra di noi per la scelta della scaletta. Ci sono certe canzoni che devi suonare: non puoi non suonare I’d Do Anything, o Perfect, o Welcome to my Life, devi avere quelle canzoni nel set; ma poi, suoni Take my Hand o Your Love is a Lie? Non è sicuro.
Inoltre, con le nuove canzone non sappiamo ancora quali risalteranno di più; quindi suoniamo Perfectly Perfect adesso, o è troppo presto? Suoniamo Problem Child? Cambiamo sempre tutto, e il prossimo tour cambieremo tutto un’altra volta.

Avete introdotto dei pacchetti VIP, e sono cambiate un po’ di cose per il vostro fan club – non tutti i fan sono stati contenti. Che ne pensate?
Jeff: Davvero? Quello che so è che non è cambiato nulla per il fan club. Entri prima, vedi il sound check come sempre. Per noi, il principio è che se sei un fan ti piace assistere alle prove e incontrare la band.
Quello che c’è di speciale nel pacchetto VIP è che ci permette di avere meno persone ma di passare più tempo con loro; il fatto è che sono molte le persone da incontrare. Il pacchetto VIP aggiunge una cosa in più per noi: adesso abbiamo un pre-show, il sound check, il concerto, e poi usciamo comunque a incontrare i fan dopo lo show. E’ molto per noi, ma così quelle persone possono avere un’esperienza esclusiva con la band.
E se vuoi che sia onesto, non vendiamo più dischi, nessuno vende più dischi, quindi se vuoi rimanere on the road devi pensare a nuovi modi di fare le cose.

Tornerete in Italia a maggio. Sapete già quando?
Jeff: Saremo a Torino e a Roma, rispettivamente il 16 e il 17 maggio. Forse aggiungeremo un’altra data, ma ancora non lo sappiamo.

Noemi Schiari

www.simpleplan.com

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