La Preghiera di Jonah: “penso che niente sia rimasto uguale”

“E così sia” è la rincorsa su se stessi de La Preghiera di Jonah, processo di auto-analisi di un’intera generazione in fuga stessa e dal proprio tempo. Il nuovo disco è uscito il 29 aprile e per l’occasione abbiamo scambiato quattro chiacchiere.

la preghiera di jonah

La Preghiera di Jonah

Bentrovati su Brainstorming, La Preghiera di Jonah! Allora, permetteteci fin da subito da risolvere uno dei nostri primi quesiti: quanta “fede” si nasconde dietro il vostro nome, e quali sono i motivi che vi hanno portato a scegliere questo “moniker”?

Ciao, che piacere. Beh l’uomo vive di fede, o alla continua ricerca di qualcosa a cui affidarsi e fidarsi, per sentirsi protetto o semplicemente meno solo in questo immenso universo.

Cercherò di essere il più sintetico, mi innamorai della figura del profeta Giona, che ha dovuto combattere con se stesso affrontando un lungo viaggio sia interiore che fisico, e alla fine ha messo un punto alla situazione, e quindi alla fine di questa lettura io mi sentivo quella preghiera che Giona disperato fa a Dio, e quindi quale nome migliore. Dopo anni posso dire di sentirmi ancora parte di tutto ciò.

Dal vostro primo singolo ne è passato di tempo: quanto vi sentite cambiati da allora, e quali sono invece le cose che sono rimaste uguali a sé stesse?

Di cose né sono cambiate tante, e penso che niente sia rimasto uguale, siamo in continua ed evoluzione e tutto ciò è bellissimo.

Nel vostro disco d’esordio, il tema della periferia è molto presente, visto soprattutto nella chiave di un limite che impedisce al cuore di volare. Ci raccontate un po’ il rapporto con il vostro paese natale?

Per chi come noi, nasce, cresce e vive in un piccolo paesino di provincia, sa quanto sia un rapporto complicato, un rapporto di amore e odio. Le cose iniziano a pesare, ad andare strette, il respiro diventa corto, e quindi cerchiamo di “rinnegare” il nostro paese natale, scappando, ma alla giusta distanza le cose migliorano diceva un mio amico cantautore, e si realizza che la mia città non sono io, ma io sono la mia città.

Anche il tema della corporeità, della fisicità prepotente si fa tema portante del disco. Penso a “Milano”, ad esempio, ma in generale al linguaggio “organico” che caratterizza tutta la vostra scrittura. E’ un tema che sentite vicino, quello della riscoperta del proprio corpo e dei “miasmi” più intimi del vostro esistere?

Sembra scontato o assurdo, ma la prima cosa che facciamo quando ci incontriamo con una persona e stringerle la mano. Quando poi si crea un rapporto si passa agli abbracci e poi ai baci. Tutto ciò può sembrare bellissimo, se non fosse che “le porte si aprono ma si chiudono anche” e spesso si passa dai baci, agli abbracci, alle strette di mano fino a non toccarsi più come due estranei e questo è “pesante”.

Come si fa, secondo voi, a combattere quella tendenza a vivere la vita come fosse un “reality show”, al punto da non distinguere più la realtà da un miraggio?

Più che combattere, direi allenarsi. Con tanto allenamento, ahimè anche noi spesso tentenniamo, ma basta mettere in pratica la regola delle 3 C: concentrazione, calma e costanza

Passiamo alle domande di rito: associate ognuno dei vostri singoli con un cocktail, e spiegateci il perché della vostra scelta.

ASTINENZA: Preferisco Campari, ma va bene anche Aperol, per Astinenza direi Spritz 🙂
RESPIRO: Vino caldo alla cannella, profumato dolce ed aromatico, da sorseggiare lentamente.
GIULIO: Qui più che drink dire birra, bionda, fresca leggera…
Come l’ultima volta: Negroni, boccata piena e intensa.
CASE POPOLARI: Analcolico, anzi acqua tonica con ghiaccio. Un long drink dissetante e pungente.
REALITY SHOW: Negroni sbagliato, boccata piena intensa ma sensazione di leggerezza data dal prosecco
MARIO: Mario non ha un drink
MILANO: God father, whisky e disaronno (digestivo)

Il prossimo concerto al quale assisterete?

Zen Circus

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