La Scala Shepard: “La musica ha prima di tutto una funzione liberatoria”

Per Alberto Laruccia, Claudia Nanni, Davide Guido Guerriero, Lorenzo Berretti, meglio conosciuti sotto il nome di La Scala Shepard, la parola musica è sinonimo di immedesimazione. Ne è la dimostrazione il loro ultimo lavoro, “Eureka”, pubblicato il 17 novembre 2016: 7 brani che rappresentano 7 mondi differenti, eppure non troppo lontani da potersi incontrare. In questa intervista ci hanno parlato di questo album, ma anche dei loro inizi e dei loro progetti futuri.

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Partiamo dal principio. Come vi siete conosciuti e com’è nata la vostra collaborazione artistica? E perché avete scelto questo nome?
David (batteria), Alberto (chitarra e voce) ed io (basso e synth) ci conosciamo da una decina d’anni, suonavamo insieme in una band rock/psichedelica ai tempi del liceo. Ci siamo persi di vista per un paio di anni dopo quest’esperienza, finchè, sul finire del 2014, abbiamo ricominciato a frequentarci a Trastevere. Qui con un gruppo di amici, tra cui un’altra conoscenza in comune, Claudia (voce e synth), trascorrevamo le serate in una serie di feste estemporanee. In queste occasioni si suonava per le stradine e le piazze con strumenti più o meno improvvisati: di solito tutto finiva in un’enorme caciara, con grande allegria dei passanti e altrettanto grandi incazzature degli abitanti. All’inizio del 2015, complice un certo aumento di freddo, abbiamo pensato di continuare a vederci noi quattro, però stavolta in una saletta.
Insieme a noi ha suonato anche Michele Santucci (chitarra), che però ha lasciato la band dopo il primo anno di attività.
Il nome del gruppo è un’idea di David. In quel periodo stava studiando fonia e, trattando il campo delle illusioni acustiche, si è imbattuto in questo termine che ricordava un po’ certi nomi che usavano le band progressive negli anni ’70.

Quali sono le vostre influenze musicali?
Sono molto varie: partono dal rock per arrivare al jazz, al blues, allo swing, virano sull’elettronica IDM per poi atterrare sul cantautorato… ogni tanto danno un’occhiata anche alla musica classica, date le nostre pesanti influenze progressive. Ognuno di noi ha una sua storia musicale ben definita e piuttosto variegata, ma son davvero pochi i punti di contatto che accomunano tutti e quattro. Così pochi che non me ne viene in mente uno.

Passiamo al vostro ultimo lavoro, “Eureka”: le canzoni che lo compongono sono diverse tra loro, sia per le tematiche, che per lo stile. È questo un modo per far conoscere tutte le vostre sfumature?
Le anime nel gruppo sono tante, anche se siamo solo in quattro. Una volta raggiunto un certo livello di intesa con il primo lavoro, adottare così tanti stili diversi tra loro ci è venuto quasi automatico.

“Su a Berlino” affronta una tematica molto attuale, che riguarda davvero tanti giovani: la necessità di lasciare l’Italia ed andare altrove (in questo caso Berlino appunto) per raggiungere i propri obiettivi. Anche a voi è successo?
A nessuno di noi è ancora successo, ma non si può mai sapere. La canzone è nata più che altro da esperienze indirette: qualche anno fa molti dei miei amici hanno cominciato ad andarsene dall’Italia per andare a lavorare o studiare all’estero. In quel periodo ho assistito ad un vero e proprio esodo. Il pensiero che, se fosse andata avanti così, sarei rimasto da solo a Roma, unito alle varie testimonianze che mi arrivavano da questi amici emigranti, hanno dato vita al testo della canzone.

“Non ti fidare mai di un artista”: cosa pensate quindi voi dell’essere artista? Come vivete questa “condizione”, che più che altro potrebbe essere definita un “modo di essere”?
Il titolo è in realtà un invito rivolto al pubblico a pensare sempre con la propria testa, a non accettare nulla passivamente. Bisogna sempre filtrare tutto quello che si ascolta attraverso la propria coscienza critica; tutti prima o poi dicono delle fesserie, anche gli artisti migliori. Bisogna sempre ricordarsi che gli artisti sono persone, non divinità, come certe volte il marketing vuole farceli apparire. Alcuni fan purtroppo tendono invece ad essere degli integralisti con i loro beniamini, e questo li porta a vivere la musica in modo poco edificante. Si rinchiudono nella loro roccaforte e pensano che tutti quelli che non hanno i loro gusti musicali siano degli stupidi. Ed è un controsenso, perché la musica dovrebbe unire, non dividere.
Personalmente vivo l’arte come un gioco, anche se andando avanti diventa sempre più difficile non farsi condizionare da un contesto che pretende di trattare in modo adulto un mestiere, quale quello dell’artista, dove, per eccellere, bisogna rimanere bambini.

“Sii cattivo perché il mondo ha bisogno di te”: è una frase forte, ma inserita nel contesto della canzone è abbastanza realistica. Ce la spiegate voi?
Il brano parla di onestà, che non vuol dire condividere con il mondo esterno tutto quello che si pensa (come nel film “Bugiardo bugiardo”). Per onestà si intende guardare le cose nel modo più realista possibile e comunicare, quando ce n’è bisogno, il proprio punto di vista agli altri, senza fare sconti. Spesso in Italia, sia livello pubblico che a livello privato, si tende a mistificare i problemi attraverso la speranza che “le cose andranno meglio”, che “tutto si aggiusterà da solo”, che “arriveranno tempi migliori”. Chi fa notare che con questi pensieri in testa non si fa altro che peggiorare la situazione, viene tacciato di pessimismo. È maleducato chi ti sbatte in faccia la realtà così com’è, anche quando lo fa per il tuo bene: diventa automaticamente “volgare”, o “invidioso”, o “guastafeste”. Una persona “cattiva” in poche parole. Preferiamo di gran lunga chi propina discorsi rassicuranti e pieni di falso ottimismo: non servono a niente, ma almeno ci fanno andare a letto senza pensieri. Tuttavia, dopo anni di soap opere e di tv spazzatura penso sia davvero necessario qualche “cattivo” in più in Italia. C’è un gran bisogno di “antipatici” in questi tempi.

In definitiva, possiamo dire che nelle vostri canzoni, anche in quelle che affrontano tematiche sociali, c’è sempre un rimando all’individuo. Per voi la musica deve raccontare delle storie? E, quando parla di singole persone, piuttosto che di situazioni generiche, aiuta gli ascoltatori ad immedesimarsi?
La musica cantata è nata per raccontare storie che riguardino l’individuo. Che sia l’espressione di un sentimento personale come il dolore (vedi il gospel), o che sia il racconto di un fatto di cronaca (vedi i giullari), sempre di storie si sta parlando. Che possono anche trattare, tra le righe, temi sociali; ma questa è solo l’inevitabile conseguenza di cantare l’esistenza di un personaggio inserito in una società. Del resto, non si può parlare di una persona ignorando il contesto in cui questa vive. Al centro della narrazione resta sempre l’individuo con tutte le sue debolezze, i suoi problemi e le sue angosce. Sentendo queste storie l’ascoltatore si può immedesimare in certe situazioni, e per qualche minuto riesce a dimenticare i suoi problemi. La musica, quindi, ha prima di tutto una funzione liberatoria.
Sono diversi i gruppi con un’impostazione ideologica ben precisa, impegnati a sbandierare la loro fede politica nelle loro canzoni; tuttavia ritengo che temi politici non possano essere trattati in canzoni da tre minuti senza risultare degli ingenui. Sono cose troppo serie, da professionisti: la politica cambia la vita della gente, può anche distruggerla. Bisogna avere un numero di ore sufficiente di approfondimenti e di contestualizzazioni storiche per raggiungere conclusioni su un tema politico che non siano meri slogan o infarinature ideologiche.
Tornando a noi, scrivere dell’individuo è un modo di comporre senz’altro più empatico, ma forse anche più rischioso: è, infatti, molto facile cadere nel patetico. Quando quello che componi non è autentico si risulta banali, e questo le persone lo percepiscono subito.

La copertina, disegnata da Valeria Bruschi, rappresenta un burattino che cerca di liberarsi dai fili che lo tengono legato; è una metafora di evoluzione e presa di coscienza: come le collegate voi alla musica?
L’arte, in generale, ha sempre avuto il compito di stimolare domande, di mettere in discussione verità che sembravano essere consolidate. Indagando la realtà ne mette in luce le contraddizioni, cercando così di stuzzicare il pensiero critico delle persone. Il dubbio pone le basi per un confronto, e non esiste metodo migliore del dialogo per evolvere la mente.

Quali sono i vostri progetti futuri? Ci sarà un tour a breve?
Nel corso del prossimo anno ci dedicheremo soprattutto all’attività live, sia nel Lazio che nel resto d’Italia; tutte le info sulle nuove date verranno comunicate nel corso dei prossimi mesi sulla nostra pagina Fb. Nel frattempo stiamo progettando l’uscita di nuovi videoclip, che verranno spalmati nel corso della prima metà del 2017, e abbiamo già iniziato a comporre nuovo materiale. Questa volta però vogliamo fare le cose con più calma, darci il tempo di sviluppare bene tutte quelle idee che abbiamo accumulato in questi mesi, ma che non abbiamo mai avuto modo di approfondire.

Anna Gaia Cavallo

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