Megadeth – Th1rt3en

Riesco solo oggi, a distanza di parecchi mesi dalla sua uscita, a scrivere qualcosa riguardo questo disco.
Non per mancanza di interesse, sia chiaro, ma per la voglia di non fermarmi alle prime impressioni, e  neanche di descrivere le emozioni che mi fa provare “a freddo”, dopo averlo ascoltato, lasciato in salamoia a fare la posa, poi ripreso in mano.

Sento dentro di me sentimenti contrastanti, come succede tutte le volte che ascolto il nuovo lavoro di chi ha scritto la storia e oggi scrittore di storia non è più; si sa, il tempo passa inesorabile e – tenetevi forte perché questa è una pessima notizia – non siamo più nel 1988.
Vabbè che è ritornato all’ovile il buon Dave “Junior” Ellefson (e quanto mi mancava!) e vabbè pure che il periodo rock dei Megadeth è passato, lasciando dietro di sé solo un album indegno (Risk, dove giocano quasi a fare i pop-emo) e un paio di mezzi album che recepisco a fatica ma che tutto sommato proprio da buttare non sono, visto che già si tentava di trovare la strada di ritorno al metal (The World Nees a Hero e The System Has Failed) anche se la sensazione era proprio quella di essere dischi di passaggio.

A dirla tutta, nel 2009 mi ero esaltato assai per Endgame, gran disco di metal come Dave Mustaine lo intende oggi: melodico, semplice, a tratti furioso ma di una furia che ha poco da spartire con QUELLA furia, QUELLA che mi ha fatto crescere (e con me, altri milioni di metallari) e che mi ha fatto capire cos’era il thrash.
Comunque un buon lavoro, che ti faceva arrivare alla fine con la voglia di un nuovo ascolto, tanto per scoprire sfumature che rischiavi di perdere.

Siamo quindi con questo Th1rt3en sulla stessa lunghezza d’onda del precedente, ed è impossibile non fare paragoni, visto anche la grande assonanza se parliamo di suoni, di produzione, di arrangiamenti e non ultimo di struttura delle canzoni.
Se però Endgame mi aveva fatto ben sperare per il proseguo della carriera, con il disco in questione si ricade nell’oblio della mediocrità: considerate che ben cinque – cinque! – delle tredici canzoni sono riciclate dal passato, dai tempi di Youthanasia o da colonne sonore, e addirittura Black Swan era presente come bonus track di United Abomination: inconcepibile.

Tutto è piatto, tutto è scialbo e senza mordente: c’è tantissima melodia ed è forse uno dei (pochi) punti di forza di questo lavoro e neanche sempre, che le famose linee vocali al vetriolo di Mustaine sono qui più che spesso smussate e banalizzate anzichenò.
Perfino gli assoli, in genere marchi di fabbrica della band, sono meno che goduriosi, e soprattutto quelli di Chris Broderick, dove i 64esimi si sprecano e gli sbadigli pure.
Non tutto è da buttare, ovviamente, anche se a doverlo spiegare non saprei da dove iniziare.
Capita che riesco ad ascoltarmi ‘sto disco fino alla fine senza troppe sofferenze, quasi canticchiandolo, salvo poi chiedermi se veramente sono i MIEI Megadeth e concedermi in toto alla disperazione la più oscura.
Certo, la title track non mi dispiace affatto, così come l’iniziale Sudden Death e Never Dead, una bella mazzata devastata però da una linea melodica mediocre e, mi ripeto, PIATTA.
Qualcosina qua e là si apprezza anche, ma la maggior parte è fatta di riempitivi, tanto per metter lì tredici canzoni, che sennò perché cazzo gli abbiamo dato ‘sto titolo?
E’ veramente triste ascoltare come poche idee vengano allungate e neanche col brodo buono, ma con un dado messo lì alla ‘come viene’, tanto per fare i quattro minuti e buttarci su un assolo al fulmicotone in cui sfido chiunque a riconoscere una nota dall’altra.

Ah, il singolo; ancora non ne ho parlato.
Sai che, a forza di ascoltarlo e riascoltarlo, quasi quasi mi sembra uno dei pezzi migliori?
Sarà che è facilotto e banale come solo gli MTV addicted sanno fare (e di certo loro NON lo sono), ma alla fine non posso esimermi dallo shackerare un po’ la testa.
Poco, eh, quel tanto che basta per tenere il tempo e godermi ‘sta canzoncina per mocciosi americani.

Insomma, ad oggi i Megadeth sono questi: cinquantenni (per di più con una sbandierata fede religiosa) che non ci pensano nemmeno a tornare ai vecchi fasti (anche perché sarebbe impossibile) e preferiscono dare in pasto al loro fedele pubblico un lavoro fatto di rimasugli, scarti e poco altro – tredici canzoni sgonfie in cui ogni tanto si accelera, a volte si fa i romantici ma sempre e comunque si tenta di piacere.

A chi, questo è tutto da scoprire.

Claudio Scortichini


Tracklist

1. Sudden Death
2. Public Enemy N° 1
3. Whose Life (Is It Anyways?)
4. We the People
5. Guns, Drugs & Money
6. Never Dead
7. New World Order
8. Fast Lane
9. Black Swan
10. Wrecker
11. Millennium of the Blind
12. Deadly Nightshade
13. 13

Line Up

Dave Mustaine (voce, chitarra)
Chris Broderick (chitarra)
David Ellefson (basso)
Shawn Drover (batteria)

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