Ottodix e il nuovo album “Chimera”

Ottodix e il nuovo album “Chimera”

OttodixAbbiamo incontrato Alessandro Zannier, in arte Ottodix, per farci raccontare “Chimera”, il suo nuovo disco (il quinto in 10 anni di carriera), ma anche una mostra internazionale ed un cortometraggio, a riprova del grande eclettismo che da sempre contraddistingue l’artista trevigiano: una personale fotografia al secolo scorso, ai suoi mostri, le sue scorie e le sue rovine, di cui tuttora fatichiamo a liberarci.

 

Parlaci di “Chimera”, come è nato, quale è la sua genesi? Mi sono imposto dapprima un periodo di inattività compositiva, per maturare nuovi stimoli. Poi, con una certa fatica, ho scritto e arrangiato le prime 3 – 4 canzoni, che reputavo molto buone, però senza un apparente filo conduttore o una strada precisa. Per darmi una direzione avevo bisogno di uno spunto, un esperimento più estremo. In questi casi si aprono i cassetti mentali delle idee “momentaneamente accantonate”. Ci ho trovato dentro uno sfizio che volevo togliermi da tempo. Una suite per archi e orchestra, fiati e cori, molto retrò, stile primi ‘900, mescolata con un certo gusto rumorista caro ai futuristi in salsa elettronica attuale. Volevo avesse l’aspetto di un brano da colonna sonora, quindi ho preso registrazioni di momenti storici del ‘900: la voce di Hitler, il discorso di Kennedy a Berlino, l’annuncio di Enrico Fermi sull’energia atomica e così via. Ho poi campionato, tagliuzzato e rimontato a ritmo intere sequenze di films, tra le quali la battaglia di Ripley a bordo dell’androide-muletto in Aliens Scontro Finale, per creare una struttura ritmica fatta da una serie di passi lenti, meccanici, robotici. Ho immaginato un grande mostro bio meccanico che si trascinava stanco e che rappresentava il Novecento, un secolo che non vuole saperne di morire, con i suoi vecchi retaggi e le sue dannose ideologie. La Chimera del Novecento. Un secolo che ci ha portato dalle carrozze allo spazio e al digitale, pieno di violenza, ombre e controsensi. E’ nata così “Chimera Meccanica a Vapore”, il brano chiave che spiega tutta l’operazione. Era un concentrato troppo denso di contenuti per relegarlo solo a un disco di alternative – electro pop. Ho pensato, vista la mia attitudine a trovare un filone, un concept o un vestito caratteristico per ogni mio album, che potesse essere la traccia guida di un’operazione più vasta, da far nascere contemporaneamente anche nelle arti visive. E’ nato il progetto “10 Chimere”, che mi ha suggerito le tematiche delle canzoni rimanenti e ha configurato un progetto estremamente coeso tra arte e musica, come mai ero riuscito a fare fino ad ora. Il disco è uscito il 10 novembre e ne vado molto fiero. Credo sia il migliore che ho scritto e lo stesso posso dire per le installazioni e le mostre ad esso collegate.

Rispetto ai precedenti lavori, Chimera si differenzia per una maggiore cura degli arrangiamenti e per un sound sicuramente più ricco e variegato, a tratti orchestrale. Spiegaci questa scelta. I miei album sono sempre stati cattedrali di arrangiamenti elettronici maniacalmente intrecciati, ma in Chimera c’è un salto di qualità. Ho usato la metà dei suoni sintetici che utilizzavo prima, riempiendo il vuoto con orchestre “classiche” e grande uso di fiati. Occasionalmente anche la batteria acustica di Mauro Franceschini. Ne è risultato un disco più ibrido, più vicino a certe sonorità anni ’90 tra ellettronico e acustico, con più profondità sonora.

Ottodix - ChimeraNotevole in Chimera è l’utilizzo dell’elettronica. Sei un appassionato di musica elettronica? Segui la scena? Hai qualche artista di riferimento a cui ti ispiri? Mi sono formato con i Depeche Mode e le geniali trovate di Alan Wilder, quindi non posso che amare l’elettronica. Soprattutto il potenziale che offre a un artista visivo come me, di costruire mondi sonori inediti. Gli strumenti classici o acustici, a mio avviso, prevedono più o meno sempre le stesse soluzioni di arrangiamento, limitando le idee nuove a sfumature di suono o accorgimenti tecnici, mentre l’elettronica crea ogni volta mondi sonori nuovi. Crea suoni che non esistono nella realtà e questo è fonte continua per me di sorpresa e ispirazione emotiva, mi fa vedere cose, allucinazioni che poi posso descrivere nei testi. Amo tuttavia artisti come Goldfrapp che riescono a coniugare un’ottima pasta elettronica con musica da soundtrack e strumenti acustici, basandosi su composizioni semplici, ma geniali.

Termini come “moda” e “velocità” sembrano essere collegati in maniera ricorrente nei tuoi testi… come ti poni nei confronti delle mode? Come vivi la frenesia tipica dei nostri giorni? La moda del pensiero o non pensiero imperante è un fenomeno che guardo con l’interesse dell’antropologo, un tantino distaccato e divertito, mentre il concetto di “velocità” è per me da sempre spunto interessante di serio approfondimento, per capire e cercare di leggere l’epoca difficilissima che stiamo vivendo. La velocità esponenziale, aggiungerei io. Questo senso di irreversibilità che sembra innescato dal ‘900, di aumento continuo della produttività,, della tecnologia, della pretesa di prestazioni, come se ci fosse una pompa pneumatica che ci gonfia in modo inesorabile e continuo, fino a quando non esploderemo. Questo concetto è anche alla base di molte installazioni – Chimera, portate in giro all’estero e in Italia, compresa “Chimera 5” – l’utopia della crescita perpetua, che ho portato a Pechino.

Il singolo “apripista” per questo tuo nuovo lavoro discografico è Post”. Di cosa tratta? Post è un mio personale sfottò a tutta quella sedicente “controcultura” trandy e alternativa che si finge intellettuale proponendo opere, musica, videoinstallazioni o eventi “cool” minimalisti, fatti spesso (non sempre) di non detti, talmente omologata e autoreferenziale da non accorgersi di non avere alcun contenuto. Spesso il troppo non detto non dice davvero nulla, ma guai a dirlo. Verresti immediatamente smascherato e additato come un reazionario che non ha colto lo spirito della nuova arte o della musica contemporanea. Post fa il verso anche a tutte le “nuove tendenze”, che hanno così poca fantasia, che nemmeno riescono a inventarsi un nome nuovo, preferendo nascondersi dietro a vecchie consolidate scene, con l’aggiunta della dicitura POST. (Post punk, Post Rock, Post Modern, Post Human eccetera). Infine dico Post perché è ora di lasciarsi alle spalle tutto questo. Il minimalismo di cui sopra, credo che rappresenti la più lunga e furba vacanza di comodo degli intellettuali dalla complessità delle cose del mondo reale. E’ un periodo maledettamente complicato e per riflettere tutta questa stratificazione di tensioni e analizzarla, si deve necessariamente tornare ad affrontare cose complesse. Chimera infatti è un album volutamente complesso e “Post – minimalista”. Giusto per contraddirmi.

Nel disco ci sono anche quattro brevi momenti strumentali, dei veri e propri interludi. Cosa rappresentano? Ho sempre inserito queste chicche strumentali, come momenti di decantazione tra un brano e l’altro. Credo molto in questa formula. Sono interludi che permettono, dopo molti input verbali, di fare piccoli viaggi emotivi strumentali in cui l’ascoltatore può rielaborare a modo suo l’immaginario dell’album, magari guardando la grafica del cd e facendosi una sua visione del mio lavoro. In questo caso volevo suggerire un approccio da colonna sonora a una vicenda immaginaria, quindi ne ho inseriti ben quattro, uno dei quali realizzato in buona parte da Mauro Franceschini, (“Stormi di Uomini Volanti”) alla sua prima prova in un album di Ottodix con una sua “creatura” musicale. Un’ altra traccia è “Gli Archivi di Tesla”, tra l’esotico e il misterioso, memore dei Tuxedomoon, in cui ho invitato il bravissimo sassofonista Sergio Pomante a cimentarsi con atmosfere “newyorkesi” e a rafforzare la scelta dell’utilizzo dei fiati in questo album.

Mulini a vento” è una canzone che riprende le gesta di Don Chisciotte… cosa hai voluto dire con questa citazione? E’ un inno ai visionari e agli innovatori di tutte le epoche, visti sempre di cattivo occhio dalla storia, perché portatori di cambiamento, quindi di spostamento di equilibri. Portatori di guai, insomma. Don Chisciotte ovviamente è la metafora più immediata del pazzo sognatore che può ancora vedere draghi dove invece l’uomo comune vede mulini. Solo una bambina, nella canzone, vede ciò che vede Don Chisciotte. L’anno prossimo ho intenzione di pubblicare un libro in cui svilupperò la storia e le vicende di tutti i personaggi di Chimera, che qui non sono ancora narrate con un filo logico. Questo brano inizialmente si intitolava “La Compagnia dei Visionari” ed è composta da strani personaggi tra cui famosi utopisti, dei pazzi e una bambina. Una sorta di setta massonica o carbonara che organizza una resistenza a oltranza, sfidando il mostro della vecchia Chimera del ‘900. A dicembre uscirà anche il cortometraggio intitolato Chimera, in cui questi personaggi verranno ulteriormente reinterpretati da Vittorio DeMarin, il regista a cui mi sono affidato.

Chimera sarà anche un cortometraggio di 15 minuti. Come si ricollega il cortometraggio alla mostra e al disco? Forse è la parte più reinterpretata e distante dal progetto, anche perché ho voluto dare più carta bianca al regista, per far sì che potesse sentirsi libero di tirar fuori le cose che sa far meglio. Esteticamente ho suggerito lo stesso immaginario di “Post”, tanto che il videoclip di “Post” è quasi un trailer del cortometraggio. ne parleremo meglio quando uscirà.

Quanto è importante per Ottodix l’aspetto teatrale e scenografico di un live? Quello scenografico sarebbe il naturale completamento, vista l’attitudine del mio progetto. Non sempre i palchi e i club, o i piccoli locali, sono attrezzati per simili cose. Poi, per problemi di trasporto, si deve sempre fare i conti con la praticità e la facilità di spostamento. I visuals restano una soluzione efficace, se composti di immagini d’impatto. Per la teatralità, in particolar modo io, punto molto a catalizzare l’attenzione del pubblico con una mimica espressionista e un’interpretazione molto intensa dei brani. Il vestito nero e un po’ di trucco fanno il resto. Anche Mauro ha un modo molto teatrale e spettacolare di suonare le sue percussioni. E’ una colonna dello show; “il batterista che suona in piedi”

Hai delle situazioni “simpatiche”, “assurde” o “particolari” che hai vissuto in tour? Vuoi raccontarcene qualcuna? Alcune sono davvero da non raccontare, per altre l’ho fatto già anche nella biografia della band in appendice al libro “I Fantasmi Di Ottodix” (2013), quando, durante il tour con Garbo, fuori da una banca rapinata il giorno prima, arrivati per riscuotere un assegno dopo un concerto, ci siamo trovati le pistole puntate alla schiena della polizia in borghese, nel tentativo vano di far loro capire cosa facevamo, tutti vestiti di nero, tatuaggi e occhiaie, chi era Garbo e quali canzoni avesse fatto negli anni ’80.

Vuoi lasciarci dei riferimenti? Dove possiamo vedere le tue prossime date? Ci stiamo muovendo in tutta Italia e man mano altre date arriveranno. Per ora tocchiamo Treviso, Milano, Acqui Terme, Trieste, Bologna, Padova e Verona, anche con le mie mostre, anche con il trio electro minimal + tromba, assieme a Templezone e Massimo Berizzi. Seguiteci alla pagina ufficiale di Ottodix su facebook e nel sito appena rinnovato www.ottodix.it, mentre per gli eventi collegati alle mostre d’arte segnalo il mio sito www.alessandrozannier.com

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