Giorgieness: ”Avevo quattro accordi, la mia voce e tantissima voglia.”

Giorgieness2Cosa succede quando il rock si tinge di rosso?
Giorgieness è il prodotto finale dell’adrenalina di Giorgie d’Eraclea. Insieme ad Andrea De Poi alla batteria e Samuele Franceschini al basso, la cantautrice dai capelli rossi Giorgie getta le fondamenta per un progetto condito con la sola voglia di suonare, suonare bene. Ed è così che nascono I Giorgieness nel 2011 senza esitazione, con le idee ben chiare e la voglia di farsi ricordare all’interno del panorama del rock made in Italy.

Iniziano calcando i palchi di alcune grosse band come i Tre Allegri Ragazzi Morti e i Fast Animals and Slow Kids, per poi spaziare verso la scena internazionale affiancando grandi nomi come i Savages e The Kooks.
Nel 2012 l’esordio rock Noianess, prodotto da Luigi Galmozzi ed Andrea Maglia, un concentrato di energia che sintetizza chiaramente le intenzioni della band. Due anni più tardi esce K2, prodotto dalla Sangue Disken in collaborazione con Edac Studio e Ja.La Media Activities. Non Ballerò è il secondo dei tre singoli che anticipano l’album che uscirà nel 2016, una ballata intima e ricca di immagini.

Oggi, i Giorgieness schierano una nuova formazione composta da Andrea De Poi al basso, Davide Lasala alla chitarra e Lou Capozzi alla batteria, e noi, per non farci mancare nulla,  facciamo qualche domanda in più a Giorgie per conoscere a fondo i Giorgieness, attraverso i sogni e le speranze di una ragazza valtellinese di 23 anni che affronta il mondo della musica con cuore e pancia.

 

giorgieness

Avete cominciato nel 2012 con l’album d’esordio Noianess, che prospettive e speranze avevate riposto in questo inizio? quali erano gli obiettivi che desideravate raggiungere?
Quando ho cominciato, in maniera abbastanza incosciente, con l’urgenza di dire delle cose e di dirle con la musica,non è che avessi in mente chissà quale obbiettivo, avevo quattro accordi, la mia voce e tantissima voglia. E’un discorso che ho fatto di recente con un amico musicista, non sono partita con l’idea di “sfondare” (cosa poi?) o con una meta precisa. Sicuramente c’è sempre stata la voglia di fare e fare bene e di
suonare il più possibile, di imparare, crescere, capire dove stavo andando con le canzoni che scrivevo, ovviamente arrivare a più gente possibile e formare una band che fosse anche una piccola famiglia.In realtà il progetto è partito nel 2011 e c’è stata anche tanta gavetta chitarra/voce, che mi è servita
tantissimo per una questione di confidenza col palco. Li sei tu, donna per altro, con davanti i tuoi amici e spesso nel mio caso perfetti sconosciuti, e devi creati il tuo spazio, tracciare il tuo cerchio magico e fargli passare quella mezz’ora in modo che se la ricordino.
Tornando alla domanda, se guardo in dietro oggi verso il momento in cui ho cominciato posso assolutamente dire che sono dove voglio essere – ovvero sui palchi, ovvero in studio, ovvero circondata da persone che ci credono quanto me mi danno forza quando magari vorresti mollare – e che ci sono
arrivata secondo quello che per me in coscienza è un percorso onesto.

 

Avete calcato tanti palchi, conoscendo band e nomi importanti della musica italiana e internazionale. Qual è stato il live più emozionante che avete condiviso?
Ci sono stati davvero tanti momenti emozionanti, e a livello lavorativo sicuramente i nomi più grossi dovrebbero essere anche quelli che danno più soddisfazione.
Eppure il ricordo di pancia più forte è sempre quello legato al concerto coi Tre Allegri Ragazzi Morti,che ci hanno dato l’opportunità di aprirli qualche anno fa a Brescia, ancora col vecchio trio.
Per la prima volta ci siamo trovati davanti ad un muro di persone che già urlava prima che salissimo sul palco e che appena messo piede lassù, ha iniziato fare ancora più casino. Li il pensiero comune è stato “ok, adesso dobbiamo tirare giù tutto per davvero”.
E contro ogni aspettativa tutta la tensione è sparita nel momento stesso in cui abbiamo attaccato a suonare. Essere in apertura a gruppi del genere è sempre rischioso, sai che le persone sono li per un motivo preciso, ma quella sera in qualche modo, la maggior parte della gente ha davvero ascoltato noi, qualcuno cantava persino i ritornelli quando gli entravano in testa e alla fine volevano qualche pezzo in più. Li è stato il momento in cui mi sono detta “forse può funzionare davvero”.

 

Parliamo del nuovo singolo ” Non ballerò”, una ballata più intima rispetto al rock energico di K2. Cos’è cambiato? Qual è il significato del testo e cosa rappresenta per voi questa nuova pelle?
K2 è un pezzo molto vecchio, avrà credo tre anni e a parte i suoni è rimasta pressoché identica nell’intenzione, ovvero urlare addosso a qualcuno che sembra non sentire. Non ballerò è arrivata l’estate scorsa, ero cambiata io ed era cambiato quel rapporto li. Non avevo più bisogno di urlare tutto il tempo per farmi ascoltare ma comunque per una questione di carattere tendo ad accumulare in modo quasi passivo le piccole cose che mi fanno male, cercando di non lamentarmi troppo, e poi ad un certo punto, in modo quasi immotivato sbotto e urlo e batto i piedi. E Non ballerò è questo alla fine, l’ho cantata quasi tutta sorridendo mentre la registravo.
Non la vedrei come una nuova pelle, è sempre quella, un po’ più coriacea ma allo stesso tempo sottile, perché alla fine ci vuole una sensibilità diversa per cercare di farsi ascoltare senza imporsi con la voce grossa. E’ stata una liberazione quella canzone, “un dire ok, siamo qui, le cose stanno così, e ora lo sappiamo.”
C’è anche una piccola citazione di un film che adoro, Dancer in The Dark, in cui la protagonista, appassionata di musical, perde progressivamente la vista ma continua a cantare perché “è l’ultima canzone solo se permettiamo che lo sia”.
https://www.facebook.com/giorginess

Francesca Muscarà

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