Deltacut: “Penso che il pubblico di oggi abbia molta voglia di sostanza”

Nella scena discografica italiana sbarca Deltacut, con il suo album di esordio, “Bad Living Conditions”.

Come è facilmente intuibile dal titolo, il lavoro è una libera interpretazione in chiave musicale dei disturbi della mente umana.

 

 

È uscito da poco il tuo album d’esordio, “Bad Living Conditions”. Il significato letterale del titolo è “cattive condizioni di vita”, che è proprio il tema principale.

Innanzitutto, come sono nati i brani? Sono nati da cose che hai visto, che conosci per “sentito dire”, che hai immaginato?

L’ispirazione per “Bad Living Conditions” nasce prevalentemente da spunti artistici e letterari. E’ un album che ho iniziato a scrivere per la necessità di esprimere alcune riflessioni, la maggior parte delle quali suscitate da libri e saggi che stavo leggendo, o da opere d’arte in c

ui mi sono imbattuto durante la fase di composizione.

Non ci sono riferimenti autobiografici nel senso stretto del termine, però molti eventi di cronaca, insieme a situazioni particolari che ho vissuto dall’esterno, hanno certamente contribuito a farmi concentrare su questo progetto.

 

In un’epoca in cui è ormai diventata quasi consuetudine scrivere di temi “leggeri” per arrivare prima al pubblico e soprattutto per arrivare ad un pubblico più vasto, non hai paura di non essere compreso facilmente?

No, al contrario.

Penso che il pubblico di oggi abbia molta voglia di sostanza, di un tipo di arte che porti un contenuto di riflessione importante, e non si fermi al mero intrattenimento fine a sè stesso.

Forse però è proprio chi presenta questo tipo di proposte che spesso si chiude in un’esclusività̀ imposta, e cerca forzosamente di renderle fruibili a pochi, nascondendosi dietro eccessive complicazioni.

Oggi in effetti c’è un’enorme offerta di un certo tipo di musica, più leggera e immediata, e va benissimo in tantissimi contesti e momenti; però in sempre più casi vedo anche il bisogno di scavare un po’, di affrontare questioni trascurate per troppo tempo.

Tante persone, anche molto giovani, quando si fornisce loro qualche stimolo rispondono con grande entusiasmo e partecipazione, e non si tirano affatto indietro dall’addentrarsi in argomenti impegnativi. Ho molta fiducia in questo momento storico, e credo ci sia spazio anche per un’offerta musicale meno “facile” ma ricca di significato.

 

Facciamo un passo indietro. Cosa ha spinto un laureato in fisica ad avvicinarsi alla musica? Ricordi qual è stato il momento in cui hai capito di voler cambiare rotta?
Ah, bella domanda, me lo chiedo spesso anche io!

In realtà la musica è sempre stata una parte della mia vita, anche se non così centrale, era

più un hobby in cui suonavo con gli amici per divertirmi. E tra l’altro ero molto lontano dalla musica elettronica, suonavo prevalentemente metal e generi derivati. Proprio durante l’università però mi sono accorto di avere un grande bisogno di esprimere quel che avevo dentro, pensieri, riflessioni, emozioni. E non riuscivo a farlo se non attraverso la musica.

I primi esperimenti in effetti sono nati da soli, in giornate in cui stavo davanti al computer con una tastiera e una chitarra e dopo qualche ora mi ritrovavo, senza sapere bene come, con un brano praticamente finito e tanta serenità in più.

Era praticamente una terapia, e dopo la laurea ho deciso di farla diventare la mia vita. Ho

raccolto un po’ le idee e ho scommesso con me stesso che in qualche mese sarei a riuscito a scrivere da zero e a registrare un album che fosse degno di questo nome, solido e coerente. Sull’effettiva qualità non mi pronuncio, però mi ritrovo qui con il mio CD in mano, e neanche io so ancora bene come.

 

Deltacut. Perché́ questo nome?
Deltacut fa riferimento alla delta tagliata, un simbolo che si utilizza in fisica per indicare una particolare funzione.

L’ho incontrata per la prima volta in un corso di fisica nucleare, e mi ha folgorato per vari motivi. Intanto simboleggia il mio passato da studente di fisica, e quindi il mio background scientifico; essendo però una lettera dell’alfabeto greco è anche un richiamo alla classicità, di cui risento molto l’influenza. Inoltre è un riferimento alle iniziali del mio nome, una coincidenza che mi ha subito colpito.

 

Torniamo all’album. C’è una traccia a cui sei particolarmente legato e perché́?
Ogni traccia ha un significato particolare per me, ognuna ha una sua importanza per motivi diversi, è difficile scegliere. Se dovessi però indicarne una che rivesta un ruolo particolare all’interno dell’album, probabilmente direi “Good Dying Conditions”.

Il titolo si contrappone parola per parola al nome dell’album, e in effetti è pensata come una specie di title-track al contrario. Il tema delle cattive condizioni di vita viene ribaltato, presentando una situazione di serenità in una stanza di ospedale. La morte, avvicinandosi al termine del brano, viene affrontata in modo più calmo e consapevole, con meno paura e con una convinzione assente all’inizio dello stesso.

 

Cosa vuoi trasmettere con il tuo lavoro? C’è un complimento in particolare che ti piacerebbe ricevere da un tuo ascoltatore? Se sì, quale?
Ho cercato di scrivere questi brani costruendoli su più livelli di lettura, in cui il tema delle “cattive condizioni di vita” possa essere declinato in varie sfaccettature, dove siano possibili più livelli di approfondimento e interpretazioni, anche molto personali.

Il tentativo è quello di stimolare una riflessione, che sia su se stessi, sulla società, o su quello che ognuno riesce a cogliere di particolare, passando però sempre da un livello fortemente emotivo. E in effetti uno dei commenti che mi ha fatto più piacere ricevere è stato quello di essere riuscito a far emozionare qualcuno. Penso sia proprio questo il complimento che anche in futuro vorrei ricevere più spesso, quello di aver trasmesso delle emozioni, di aver toccato la sensibilità dei miei ascoltatori.

 

Ti ispiri all’elettronica colta. Quali sono, nello specifico, gli artisti che hanno influenzato più di tutti la tua musica?
Aphex Twin, Jon Hopkins, Tycho sono stati i primi esponenti di un certo tipo di elettronica in cui mi sono  imbattuto e che hanno lasciato un segno indelebile. Più di recente le ultime uscite di Bonobo mi hanno colpito molto, così come i lavori di Caterina Barbieri.

Un altro italiano che sto apprezzando ultimamente è Yakamoto Kotzuga. Cambiando totalmente genere invece non posso non citare Plini e David Maxim Micic, per quanto riguarda soprattutto melodie e arrangiamenti, mentre i Meshuggah, per quanto lontani a livello di sonorità, sono sempre una grande fonte di ispirazione per ritmica e impatto.

 

C’è qualche artista (italiano e non) con cui ti piacerebbe collaborare?
Tantissimi. Vorrei avviare qualche collaborazione con i tanti italiani che stanno emergendo ultimamente in questo campo, mi piacerebbe che si creasse una specie di Italian New Wave allargata, e che ci fosse uno scambio più aperto e libero. Palazzi d’Oriente per esempio, o tra i big lo stesso Kotzuga. All’estero invece seguo con grande interesse la scena Berlinese, e sarebbe un sogno divenuto realtà partecipare a qualche progetto di Alessandro Cortini.

 

Puoi darci qualche anticipazione sui tuoi progetti futuri? Ci sarà un tour?
Ho già in programma diversi eventi e serate sparse per il Nord Italia, organizzate anche attraverso le collaborazioni con altri artisti. L’idea è quella di portare in giro il mio liveset, affiancato da un bel contributo di visual e luci studiate ad hoc, che ho appena ultimato di preparare.

I progetti in studio invece sono molti: ho parecchio materiale pronto per uscite future, a cui sto pensando
di affiancare qualche esperimento di natura più concettuale, ma è ancora decisamente troppo presto per parlarne. In ogni caso, anche se “Bad Living Conditions” è uscito da pochi giorni, non ho nessuna intenzione di dormire sugli allori.

 

https://www.facebook.com/deltacut/ Pagina Facebook

Anna Gaia Cavallo

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