Rosso Marte: “Non crediamo molto nell’idea di perfezione”

Fuori dal 22 ottobre “Ciao Freud”, il nuovo EP dei Rosso Marte. “Ciao Freud” contiene cinque inediti registrati a fine marzo dello stesso anno presso il Crinale Lab. Uno studio/laboratorio immerso nella natura romagnola che rispecchia l’anima analogica di questo primo lavoro.

Il primo lavoro dei Rosso Marte suona con amplificatori degli anni sessanta, riverberi a molla e percussioni fatte di catene e lamiere.

Ne abbiamo parlato direttamente con loro, partendo dai loro tre dischi preferiti e finendo con gli alcolici. Ecco com’è andata!

rosso marte

Rosso Marte intervista

Quali sono tre dischi che sono stati fondamentali per la vostra formazione musicale? E perché?

Ciao, grazie per l’intervista!

Claudio:

“Hai Paura Del Buio?” degli Afterhours. Lo ascoltai per la prima volta quando avevo 17 anni, ero solo un ragazzino che suonava la chitarra e scriveva idee confuse in inglese. Il disco, che era uscito da poco, mi folgorò letteralmente, ho sentito le pupille dilatarsi. Ricordo il momento esatto in cui un mio amico mise la cassetta nello stereo, partì 1.9.9.6. e capii immediatamente che quel modo di scrivere canzoni avrebbe creato un linguaggio per molti altri a venire. Da quel momento ho realizzato che avrei potuto scrivere canzoni Rock in italiano.

Luca:

“Led Zeppelin IV” è stato la mia bibbia. Qualsiasi cosa sia venuta dopo, in questo genere (ma non solo) è frutto di questo capolavoro. Quale batterista rock, blues e metal non ha suonato almeno una volta “Rock and Roll”, “Black dog” o quella sequela di triplette su “Stairway to Heaven”? O almeno, ci abbiamo provato. Perché puoi avere una batteria, strumentazioni di altissimo livello o magari puoi suonare una Ludwig del ’69 accordata alla Bonham, ma nessuno di noi ha le sue mani e il suo genio. A lui devo praticamente tutto, non c’è un brano che suono senza che la sua influenza ne plasmi il risultato. Sicuramente è l’album che ho ascoltato di più nella mia vita.

Un album in comune è sicuramente Song For The Deaf dei Queens Of The Stone Age, ha per entrambi un enorme significato. Le nostre influenze, i suoni che ci siamo costruiti, le ispirazioni per i riff di chitarra o i groove di batteria… Nella grande equazione del “fare musica” loro sono una costante. I Rosso Marte sono un calderone ricco di influenze, grazie ai diversi percorsi vissuti, qui però ci incontriamo e banchettiamo con Josh Homme e Dave Grohl.

Il progetto nasce nel 2019, e probabilmente vi conoscete già da prima (giusto?). Come mai avete aspettato tanto? 

Ci siamo conosciuti proprio nel 2019 e abbiamo legato da subito, come amici e come musicisti. Abbiamo cominciato a mettere su i primi brani in sala prove, senza avere ancora chiaro che direzione prendere. Durante i lockdown abbiamo cominciato a lavorare a distanza, ci mandavamo i progetti delle canzoni via mail, era un lavoro certosino per cui quando siamo rientrati in sala prove i brani funzionavano alla grande, come se li suonassimo da sempre.

Quando abbiamo accumulato un bel repertorio siamo partiti con i concerti per avere un riscontro. Nel 2021 abbiamo suonato dal vivo un bel po’ e trovato la nostra dimensione live, costruendo una scaletta che ad oggi consideriamo pronta per il primo tour che ci spetta nel prossimo autunno/inverno.

Bud Spencer Blues Explosion, The Kills, Blood Red Shoes, Royal Blood, White Stripes… La lista dei progetti in duo è piuttosto lunga. C’è qualcuno a cui vi ispirate particolarmente e che ascoltate spesso per ispirarvi? Avete mai pensato di prendere un altro membro con voi? 

C’è una premessa da fare: consideriamo Jack White uno dei più grandi geni musicali della nostra epoca, alla stregua di Jimmy Page. Quelli che hai elencato sono tutti gruppi che ci piacciono molto, inizialmente ci ispirava l’approccio tecnico dei Royal Blood, con più amplificatori con suoni diversi a raddoppiare il segnale di chitarra o di basso per dare l’impressione di avere più strumenti.

Ci ispira anche l’approccio più blues e grezzo alla White Stripes che se ne frega dell’assenza del basso. Abbiamo cercato quindi di miscelare questi due aspetti. All’inizio l’intenzione era di cercare un bassista e magari altri elementi, ma mentre suonavamo capivamo che in quel minimalismo poteva risiedere la chiave del nostro timbro sonoro e comunicativo. Da una parte è stata anche una sfida: la scelta degli strumenti e degli effetti è una parte fondamentale per creare un proprio sound, in questo caso togliere è stato indubbiamente aggiungere.

Arriva tutto in maniera più mirata e non ci si perde nei dettagli sonori di cui le produzioni moderne sono sature. Questo esprime lo stato d’animo del nostro primo EP, ciò non toglie che in futuro potremmo abbracciare l’idea di allargare la formazione e cambiare rotta. Abbiamo già molte idee che stiamo sviluppando anche su direzioni elettroniche, inoltre collaboriamo saltuariamente con una violinista e il risultato ci piace molto.

Come immaginate il vostro concerto perfetto?

Non crediamo molto nell’idea di perfezione, troviamo che sia un concetto tanto irreale quanto insoddisfacente. Ogni concerto è bello per la sua unicità, se pensiamo a tutte le nostre sessioni live di ognuna ricordiamo diversi momenti importanti e significativi. Ogni esperienza lascia dentro una traccia, se facessimo tutti concerti “perfetti” probabilmente non ne ricorderemmo uno e faremmo difficoltà a distinguerli, soprattutto l’assenza di errori e di imprevisti non ci porterebbe a crescere.

Chiunque calca il palcoscenico mira ad avere la sala piena, un pubblico caloroso e un impianto da favola, ma una volta raggiunto questo assetto ideale ci si sente davvero arrivati? Si tratterebbe di un’enorme soddisfazione a cui tutti ambiscono, ma, senza troppa retorica, pensiamo che è il viaggio per raggiungere quell’obbiettivo il vero scopo.

Noi diamo il massimo ad ogni concerto, anche davanti a 10 persone, perché suonare dal vivo è uno dei momenti più preziosi del lavoro di musicista; noi lo viviamo come un rituale e quello che speriamo è che chi viene ai nostri concerti condivida questo spirito e ne esca arricchito. Il rituale del concerto, dello spettacolo, al di là di tutto, ha uno scopo più alto, quello di far sentire tutte le persone partecipi, sul palco e in mezzo al pubblico, di un’unica esperienza. Questo potrebbe essere definito un concerto ben riuscito, la perfezione lasciamola a un altro mondo.

E se foste un drink quale sareste? E come mai?

Sia per il colore che per il gusto forte potremmo osare un Negroni Chinato, un classico con una variante unica. Vari ingredienti di fuoco sporcati da qualcosa di diverso ma con un carattere riconoscibile.

 

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