L’Avvocato Dei Santi: “Bollicine con un pelo di amarezza, mi rappresenta”

È uscito mercoledì 19 aprile 2023 su tutte le piattaforme digitali il nuovo singolo del progetto L’Avvocato Dei Santi, dal titolo “Non puoi scegliere”. Un nuovo atteso capitolo, preambolo di un nuovo disco, che arriva ad un anno di distanza dall’ultima pubblicazione, per il cantautore, musicista, produttore e poliedrico esponente della scena romana Mattia Mari, conosciuto anche per la sua attività coi Giuda e i Belladonna. 

Noi l’abbiamo intervistato, partendo come sempre dai suoi tre dischi fondamentali. Ecco com’è andata!

l'avvocato dei santi

L’avvocato dei Santi intervista

Quali sono tre dischi che a tuo parere sono stati fondamentali per la tua formazione musicale? E per quale motivo?

Rispondere a questa domanda è praticamente un’impresa, ma ci proverò. Mi vengono immediatamente in mente i Led Zeppelin, per forza di cose.
Houses of the holy dei Led Zeppelin mi ha fatto capire immediatamente che si poteva essere di tutto: pesanti come un’incudine e leggeri come una piuma nel vento, e non solo nello stesso disco, ma addirittura nella stessa canzone. Ho ancora la cassetta originale che ascoltavo all’epoca con mio padre e Marco, una persona che si può definire il mio padrino per quanto sia importante, migliore amico di mio padre.

Un altro disco fondamentale è il live di De André con la PFM. Io che ho sempre avuto difficoltà enormi con molti dei cantautori italiani considerati fondamentali, trovai qui quello che cercavo, ovvero una parte musicale molto intensa e viva. Rispetto ad un De Gregori o un Guccini vo uno stesso precedente De André, qui c’era un certo tipo di vita a livello musicale. Gli arrangiamenti di quel tour e di quel disco vennero portati da De Andrè in tour fino alla fine dei suoi giorni, e l’esperienza con la PFM portó ad un cambiamento enorme è fondamentale nel suono dei dischi a venire. Musica italiana che andava oltre, con coraggio.

Il terzo disco che mi viene in mente è De-loused in the comatorium dei Mars Volta. Un disco estremo, veloce, un frullato di generi, pensieri, idee, ma al tempo stesso incredibilmente melodico. Un disco libero, come dovrebbe essere tutta la musica.

Il tuo sembra un progetto che non vuole tenere conto delle regole imposte da playlist ed algoritmi, visti anche i tempi di pubblicazione molto dilatati. È effettivamente così?

Sarebbe bello finire in qualche playlist editoriale eh. Più gente ascolta quello che faccio, meglio è, ma sicuramente non faccio musica per questo motivo.

Credo, alla fine dei fatti, che sia pura masturbazione. Deve risuonare a me in primis, devo spingere play e, una volta finito il pezzo, devo essere soddisfatto, deve piacere a me. Quindi avvicinarmi stilisticamente ad altro solo per essere incluso in qualche mega-contenitore è quanto di più lontano esista da me. Poi mi lusinga ovviamente se ciò che faccio risuona anche negli altri, ma farei quello che faccio anche se nessuno mai dovesse ascoltare queste canzoni, oltre me.

La questione tempistiche anche è relativa a tutta una serie di questioni che riguardano la libertà e non libertà d’azione. In primis faccio uscire musica quando sento di volerlo fare, quando sono in un giusto mood. Una lotta costante contro se stessi, in pratica. L’altra cosa, da artista completamente indipendente, ti dico che le uscite si basano anche sulle possibilità economiche che si hanno in un determinato momento piuttosto che in un altro. Promuovere musica è un’attività parecchio costosa.

Nel tuo lungo percorso musicale, c’è qualcosa a cui non ti sei ancora abituato, o qualcosa che ancora non riesci a capire?

Sicuramente non mi sono ancora abituato a vedere quanta robaccia venga passata per le radio di tutto il mondo. Veramente una valanga di musica senza senso che ci viene propinata finché non ci entra in testa. Tremendo.

Nel tuo curriculum anche Musicultura e Musica Da Bere. Come vivi la musica quando è anche competizione? E nel caso dei talent?

Non posso pensare alla competizione, perché le mie emozioni e quelle di altri artisti non possono essere messe in una classifica. Vivo quelle manifestazioni come mere vetrine. Un modo per far risuonare di più ciò che faccio.

I talent sono un po’ la stessa cosa e al giorno d’oggi tre puntate in prima serata ad X factor faranno avere agli artisti in questione decine di date e cachet che forse nemmeno dopo 15 anni di attività nei club avrebbero mai avuto.

Una concezione, comunque, quella dei talent, incredibilmente lontana da ciò che amo della musica. Serve attenzione, pazienza, voglia di impegnarsi per più di 100 secondi nell’ascolto, per la musica. Negli ultimi 15 anni abbiamo visto come per tutti ci sia un calo enorme nell’attenzione che poniamo alle cose.

Si diventa “qualcuno” con 15 secondi, ma sul lungo si fatica a fare un discorso e ad essere ascoltati. Non tutto è fatto per stupire in così poco tempo. C’è bisogno di più tempo, più concentrazione, ed i talent sono la cosa più distante che ci sia a riguardo, senza parlare poi della macchina infernale che si attiva dietro di essi.

 Ultima domanda: se fossi un drink quale saresti, e perchè?

Sarei un Negroni sbagliato, sicuramente. Bollicine con un pelo di amarezza, credo mi rappresenti pienamente.

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