Smitch in Blu Ray, fuori il nuovo album “L’eco della nostra infanzia”

Nuovo album per gli Smitch in Blu Ray che tornano dopo “Equatour” con un disco maturo e denso di contenuti. Gli Smitch in Blu Ray. La band originaria delle Marche si è appoggiata al mixing e mastering della Dyne Engine Studio con Manuel Pesaresi. Invece “Superluna” e “Io mi do fuoco” sono state coprodotte dalla band con la Nugo Records. Mixing e mastering affidato alla Sound Puzzle Studio con Edoardo Marani. Marco Montironi si è occupato degli artwork di tutto l’album.

Gli Smitch in Blu Ray sono Simone O’Meara (voce e testi), Andrea Concu (chitarre e seconda voce), Lorenzo Marchesini (tastiere e cori), Stefano Franchi (basso) e Luca Magnaterra (batteria). Una band molto ben strutturata che viene da numerosi live nel corso dei cinque anni successivi alla loro formazione.

Smitch in Blu Ray

Smitch in Blu Ray – L’eco della nostra infanzia

L’album “L’Eco della nostra infanzia” tratteggia una vita, quella della band, composta da cinque vite e oseremmo dire, cinque teste pensanti che costruiscono una realtà guardata nel profondo.

Otto tracce che sarebbe quasi impossibile pensarle separatamente di cui la prima è “Io mi do fuoco” pezzo uscito nel 2022.
Interessante vedere come proprio a questo pezzo, ironico e sprezzante, sia affidato il compito di aprire l’album. Quasi come una bandiera del loro pensiero, in cui purtroppo, nella nostra società attuale, si guarda più all’apparenza che al contenuto.
Se possibile accomunare dei pezzi di questo lavoro, si potrebbe delineare una sorta di filo rosso tra il pezzo “Sgattaiolo Via” e “Bolla”. Entrambi anche se in modi diversi parlano in qualche modo di distopia, di realtà distorte e poco ancorate alla realtà.

Nel primo pezzo infatti “Sgattaiolo via” sembra esserci insofferenza verso una realtà da cui è impossibile fuggire, come se l’essere umano perdesse il proprio libero arbitrio vivendo in una situazione di precarietà. “Bolle” invece afferma un’altra “realtà”, quella dell’impossibilità di vedere oltre alla propria bolla, al proprio orizzonte ristretto e ridotto.
Tutto è visto attraverso la lente di preconcetti che ci costruiamo per vivere più sereni in una realtà che troppo spesso non ci piace o ci spaventa.

Forse la canzone di chiusura “Musa” è la canzone più completa, un po’ cruda, che lascia il segno. Importante il lavoro al pianoforte che tra un pezzo rappato e l’altro trasporta e fa sospirare di sollievo l’ascoltatore che, nelle parti cantate, percepisce tutta la difficoltà del vivere artistico e delle difficoltà che talvolta si trovano nel comporre musica e canzoni.

Un album complesso, di non facile “digestione” al primo ascolto ma che se pare all’inizio spaventare e raccontarti che sembra non ci siano vie d’uscita all’annichilimento umano, in realtà lascia una speranza. La speranza è anche quella della condivisione, per non finire soli.

 

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