L.E.D.: “non si parla mai della dignità che sta dietro un fallimento”

l.e.d. intervista

La band vigevanese L.E.D. pubblica il primo full album del progetto, dal titolo “Il coraggio delle tre del mattino”. Irriverente nei testi, impattante nell’emozionalità e rock alternativo nei suoni. Un progettp peculiare, specialmente nell’approccio alle tematiche connesse alla contemporaneità. Ne abbiamo parlato con la band per un approfondimento sulla release.

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“Il coraggio delle tre del mattino” è il titolo del vostro primo full album, che rimanda ad un’immagine di volontà e solitudine allo stesso tempo. Come mai questa espressione per racchiudere le undici tracce in un titolo?

La solitudine è uno stato emotivo.
Ci si può sentire soli una vita intera anche quando si è circondati da persone tutti i giorni, soli nei pensieri, soli nelle decisioni, soli nelle scelte, soli nelle azioni.
Ci sono momenti dove questo stato mentale si fa più forte, di notte e tre del mattino è un orario citato da Napoleone dove le preoccupazioni e i brutti pensieri si mescolano e tolgono il sonno, destabilizzano e creano quella confusione mentale distruttiva e martellante.
L’arrivo del giorno rappresenta il riscatto, le prime luci dell’alba riportano il movimento naturale della vita di un giorno nuovo, i pensieri negativi sbiadiscono, torna la fiducia e tornano le energie per affrontare le cose.
Questo è il filo conduttore di tutto l’album, delle storie che ne fanno parte, nonostante i brutti pensieri che abbiamo provato e che proviamo tutt’ora abbiamo sempre trovato la maniera giusta per proseguire, è sempre tornata la luce, non è scontato credimi, non lo è affatto.

L’album affronta tematiche di vita di tutti i giorni, legate alle modalità con cui l’animo umano prende decisioni e agisce nel bene e nel male. Come è andato il processo creativo? In che modo i fatti di cronaca hanno influenzato la scrittura di questo album?

Tutto quello che scriviamo è figlio delle nostre esperienze. Tutto quello che viene messo in musica è la fine di un processo emozionale che vede nel concepimento della musica e delle parole l’atto ultimo di una storia che vuole essere raccontata.
Chiunque abbia un minimo di sensibilità emotiva non può rimanere estraneo a quanto ci circonda. La differenza sta nel volere o non volere parlare delle cose.
Non si parla mai di sconfitta purtroppo. Si tende solo a premiare e portare come esempio di vita il successo, non si parla mai della dignità che sta dietro un fallimento, degli insegnamenti che ne derivano, non si parla mai di fine ma solo di inizio, non si vuole raccontare l’odio o il male, componente altalenante e simbiotico della stessa medaglia di questa societa’.
Non esistono vite totalmente felici’ e armoniche, prima o poi arriva quella consapevolezza in cui distinguere e applicare un discernimento inevitabile.
Abbiamo deciso di scrivere e raccontare le storie prive di lieto fine che vivono tutti.
Noi per primi.

Qual è stato il brano più difficile da portare a termine come scrittura e arrangiamento?

Non ci sono state particolari difficoltà realizzative, ogni step è stato curato in maniera naturale. Ci sono state tuttavia alcune sterzate improvvise, citerei “l’ultima ira” versione “String” che è stata introdotta a sorpresa nell’album perché emotivamente ci ha dato una botta non indifferente. Direi un piccolo capolavoro che ci ha sorpresi grazie alla scelta produttiva utilizzata nell’arrangiamento finale del brano.

Com’è portare avanti un progetto di band nel 2025, quando il music business sembra sempre più individualista?

La musica è ciclica, non viviamo nella speranza di un ritorno ma vorremmo farne parte a tutti gli effetti, le difficoltà sono evidenti, basti pensare che qualcuno ci considera un gruppo emergente, tra di noi c’è chi ha fatto diversi dischi in passato, altro che emergenti, non si conosce la storia di un gruppo o di un artista, non si è curiosi di andare a vedere chi è o che cosa ha fatto, è più facile dire che siamo emergenti per non capire un cazzo in merito ed essere superficiali.
Questa non è una colpa intendiamoci e nemmeno una critica, è la velocità che alimenta tutto, compresa la musica, Fast and Furious (poco Furious), i progetti durano pochi mesi, si caricano e si autodistruggono, soldi e like, sono questi gli amplessi degli ultimi anni.

Parlando di sonorità, il rock alternativo è un modo di raccontare storie di contemporaneità, cercando di risultare attuali, ma col rischio di sembrare fuori tempo massimo. Che pensate di questa affermazione? Cosa vuol dire suonare alternativo?

Lo dice il termine stesso, alternativo.
Un’alternativa è una possibile scelta differente da quella proposta.
La musica alternativa dovrebbe essere questo, un modo di dire qualcosa in maniera differente, che può diventare addirittura, in alcuni casi, movimento, moda o fenomeno sociale.
Il rock ha sempre raccontato le differenze altrui.
Ricordiamo quello che è successo più di tren’anni fa.
Oggi definiamo musica indie qualcosa che di fatto non lo è, rovinando anni di cultura e concetti socio musicali.
Si, siamo riusciti anche in questo.
E nessuno ha detto niente, chi apparteneva davvero alla musica indie, a quel movimento, a quel periodo storico ha fatto spallucce, anzi direi che si è proprio girato dall’altra parte.

Se doveste descrivere la vostra musica con una bevanda o un cocktail, quale sarebbe e perché?

Credo che la maggior parte di noi direbbe il gin tonic ma perché ne siamo assolutamente assuefatti e fan da anni ormai. Purtroppo o per fortuna con le nuove norme del codice stradale abbiamo dovuto rivedere un po’ di cose in merito, credo che la scoperta e la ricerca di nuovi gin (ce ne sono davvero moltissimi) sia paragonabile alla voglia di ricercare e di non calare mai l’attenzione verso le cose che ci piacciono e ci danno sensazioni positive.
Siamo sempre molto curiosi e reggiamo ancora molto bene direi!

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