Giovanni Carnazza: “Volevo raccontare una storia, la mia”

Fuori dal 15 dicembre il nuovo singolo di Giovanni Carnazza dal titolo “Oltre il tempo che avremo”. Se il primo brano parlava di una promessa di amore poi disattesa, “Oltre il tempo che avremo” ci restituisce l’idea di un amore reso concreto da una rottura e dalla successiva consapevolezza che l’improvvisa mancanza può essere molto più rumorosa della presenza. È un brano che parla tra le righe delle parole, a voler rimarcare che spesso il silenzio è l’arma più potente che abbiamo per la comprensione di ciò che ci accade. Gli estremi esistono per potersi definire e, così come non potremmo conoscere la pace senza guerra, l’amore stesso non può essere davvero capito se non nella sua improvvisa assenza. Tutto ritorna ma non torna mai uguale a se stesso ed è in questo circolo senza fine che la vita può essere accolta in tutta la sua imperfezione.

Noi siamo partiti come sempre dai suoi tre dischi preferiti, e da lì è venuto tutto naturale, ecco com’è andata!

Giovanni Carnazza

Giovanni Carnazza

Quali sono tre dischi che sono stati fondamentali per la tua formazione musicale?

Domanda difficile. Ce ne sono tanti ma questi forse sono i tre dischi che ho consumato di più alla ricerca del mio stile musicale:

“The Bones of What You Believe” (CHVRCHES) / “Il sorprendente album d’esordio de I Cani” (I Cani) / “L’amore e la violenza” (Baustelle)

Come mai le tue pubblicazioni sono così dilatate? Senti di aver bisogno di spazio?

Il mio percorso solista si basa su un puro bisogno espressivo, libero dall’ossessione della ricerca dei numeri e del pubblico. Questo anche grazie al fatto che lavorativamente, da una parte, insegno e faccio ricerca all’università e, dall’altra, aiuto managerialmente e produco altri artisti. Non ho mai visto la mia musica come un vero e proprio lavoro. Pubblico quando sento di aver qualcosa da dire. Non sempre le tempistiche discografiche danno il giusto peso alle esigenze personali dell’artista. Dilato il tempo per prendermi il giusto spazio e per dare maggior peso ai brani che decido di far uscire.

E quando hai scritto “Oltre il tempo che avremo” che cosa volevi comunicare?

Ho sempre pensato che le parole creino in chi le ascolta reazioni molto personali frutto dell’incontro tra l’esperienza dell’autore e quella dell’ascoltatore. Più che voler comunicare qualcosa di preciso, volevo raccontare una storia, la mia, che è stata importante per il mio percorso individuale: ci accorgemmo di amare nel momento del rifiuto (il suo) e del successivo ripensamento. In altre parole, si trattava di immaginare la perdita e l’assenza come il passo precedente alla comprensione dei propri affetti più cari con la consapevolezza che niente è perduto.

E come mai hai sentito di dover parlare d’amore, dopo un litigio?

Più che un litigio è stata una rottura. E cosa c’è di più libero di una promessa d’amore dopo un rifiuto? Ho scritto questa canzone attingendo a tutto il bene che sentivo dentro e che avrei voluto avere la possibilità di esprimere nel corso del tempo. Fortunatamente, così è stato.

Come ti vivi Roma e la sua scena musicale?

In realtà, non la vivo un granché. Ho visto persone, che poi sono riuscite ad emergere musicalmente, uscire ogni sera alla ricerca del contatto giusto. A me non è mai interessato particolarmente. Non riesco a vivere qualcosa sapendo che alla base c’è un doppio fine. La scena musicale a Roma è anche molto autoreferenziale. Pochi posti propongono musica davvero nuova anche perché non c’è un vero e proprio pubblico alla ricerca di qualcosa di nuovo. Si finisce per frequentare sempre le stesse persone nei soliti posti. Mi piace vivere la musica più in disparte.

Ultima domanda: se fossi un drink quale saresti, e perché?

Spritz, rigorosamente con Aperol. Un drink che dà il meglio di sé prima di cena quando il sole è ancora alto o sta facendo il suo corso.

 

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